31 maggio 1995 — Jusqu’ici tout va bien

Venticinque anni fa nei cinema francesi usciva La Haine, opera prima di Mathieu Kassovitz, prossimo vincitore del premio per la Miglior regia al Festival di Cannes di quel 1995.




In un articolo pubblicato sul Guardian lo scorso 23 maggio, il giornalista Phil Hoad fa notare una cosa talmente vera da risultare scontata: a distanza di un quarto di secolo, L’odio è invecchiato talmente bene da non essere invecchiato, né sotto l’aspetto estetico né dal punto di vista tematico.

Primo film francese sulle banlieue a ricevere una seria attenzione mediatica, L’odio ha essenzialmente creato un nuovo genere nel cinema francese, allargando il campo dei personaggi rappresentati sullo schermo alla sottoclasse degli immigrati del paese. Ha toccato un nervo scoperto, qualcosa che andava ben oltre la violenza della polizia: il vasto abisso di incomprensione tra questi bastioni di cemento ricolmi di immigrati abbandonati a sé stessi e la Francia tradizionale bianca; e il fatto che entrambe le parti ignoravano l’esistenza di una miccia accesa, raccontandosi il famoso motto del film: Jusqu’ici tout va bien… («Fino a qui tutto bene…»).
«Era la prima volta che ci vedevamo rappresentati sullo schermo e in un film con mezzi cinematografici adeguati», dice Aurélie Cardin, cresciuta ad Aubervilliers, nel cuore del quartiere totemico del neuf-trois parigino e che in seguito ha fondato il festival CinéBanlieue. «Era la nostra vita, ma più in grande. I franco-algerini, i franco-africani si sentivano rappresentati e che contavano. […] L’odio è ancora leggendario. È rimasto nella memoria di un’intera generazione e ha continuato a circolare».

Lette poco prima di vedere Les Misérables, il film di Ladj Ly tratto dal cortometraggio dello stesso regista di cui avevamo già parlato qualche tempo fa, queste righe mi sono sembrate ancora più condivisibili.



I miserabili è un film denso e serrato, e con un finale alla Signore delle mosche di grande impatto emotivo.
Ma siamo ben distanti dal realismo visionario, ironico e poetico dell’Odio, che vidi per la prima volta qualche settimana dopo la sua uscita, al cinema Alcione di Trieste che io e i miei amici frequentavamo spesso perché proiettava solo film in seconda visione, a prezzo ridotto.
Poi ho comprato la videocassetta, e poi il dvd. E l’ho rivisto decine e decine di volte, sentendomi in almeno un paio di occasioni, le ultime, come uno di quei vecchi nostalgici un po’ rincoglioniti che non riescono a staccarsi dai feticci della loro giovinezza.
Fino a quando, la sera del 5 novembre 2018, un caro amico mi ha mandato un messaggio su WhatsApp con un link a un video di YouTube seguito dal commento: «Com’è possibile che nell’hip-hop italiano non abbiamo trovato altri riferimenti all’Odio dopo venticinque anni?!».
Non ho saputo dare una risposta al caro amico, però, dopo aver visto il video e aver letto i commenti che lo accompagnavano, mi sono sentito un po’ meno rincoglionito, quello sì.


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