The feeling has gone / It means nothing to me

 

Non mi ero accorto che qualcuno mi avesse seguito nel buio ma poi Thom Wright mi diede una spinta e io rotolai sulla moquette, dove lui mi placcò per gioco con Jeff Taylor che lo incitava — era il modo in cui Thom a volte dimostrava il suo affetto, quando era un po’ fatto. Aveva buttato giù un paio di bicchierini di tequila e sniffato due righe della coca di Debbie, e io finsi di lottare con lui mentre cercava di farmi il solletico. Stavamo ridendo entrambi, il suo corpo tonico che si contorceva sopra di me, quando a un tratto lui si staccò dal mio petto, ansimando — non aveva idea del fatto che mi stesse venendo un’erezione — perché d’improvviso era iniziato uno dei nostri video preferiti, e allora alzammo gli occhi verso la parete su cui veniva proiettato. Il video era perlopiù in bianco e nero e la canzone parlava di una breve storia d’amore a Vienna ed era minimalista, con il ritmo lento di una batteria elettronica e un pianoforte triste e un basso synth. Avevamo visto quelle immagini centinaia di volte e ci ipnotizzavano ancora: un cavallo che avanzava nella nebbia su una strada in pavé, i bagliori di un lampo, il cantante in impermeabile, una città vuota, Vienna fuori stagione ma anche Londra Nord, gargoyle. Tutti i classici ingredienti dei video anni Ottanta non ancora diventati cliché: una festa chic in un’ambasciata, un candelabro su un pianoforte bianco a mezza coda sotto un lampadario, Martini bevuti da personaggi grotteschi ripresi col grandangolo, una tarantola caracollante sul viso di un ospite svenuto, un bambino inquietante che suonava un violino. C’erano amanti sorpresi dai paparazzi, e un tizio ucciso a colpi di pistola sull’imponente scalone ricurvo di un teatro d’opera. The feeling has gone, gridava il cantante. It means nothing to me. This means nothing to me. Il ritornello finale raggiungeva il climax con un colpo di piatti e mi dava sempre i brividi. Oh, Vienna.


[Bret Easton Ellis, Le schegge, trad. di Giuseppe Culicchia, Einaudi 2023, pp. 233-234]

Ultavox, Vienna (1981)

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