Mi hanno oppresso nel mio paese


Per provare a trasmettere almeno in parte la potenza di Fra gli Ultras — il memorabile viaggio-inchiesta nel tifo estremo organizzato condotto in quattro continenti da James Montague e in uscita per 66thand2nd (traduzione di Lorenzo Taiuti) — ne pubblico un brano tratto dalla quarta e ultima parte — Il nuovo vecchio mondo —, dedicata agli agguerriti gruppi ultras di realtà calcistiche emergenti (Turchia, Stati Uniti, Indonesia…).
In particolare, qui siamo in Nord Africa, nei paesi nel Maghreb, dove la scena ultras si fa tutt’uno con l’attivismo politico. Realtà, queste, nelle quali lo stadio spesso si trasforma nell’unico spazio in cui esprimere forme di dissenso, contro il dispotismo dei regimi e la brutalità della polizia, vietato e represso in altri luoghi pubblici.
Non è uno scenario così diverso da tante altre curve, anche europee.
Qui, tuttavia, c’è un elemento che rende la scena ultras nordafricana unica: quelli che si elevano dalle gradinate stracolme di tifosi, infatti, non sono semplici cori, canti o slogan, bensì veri e propri inni. O, per dirla meglio, vere e proprie canzoni, dai testi e dalle melodie strazianti, intonate per lunghissimi minuti da decine di migliaia di tifosi, come un lungo e corale lamento di natura sia politica sia, soprattutto, esistenziale.
Ne riporto due esempi (nelle versioni da stadio e da studio), tra i tanti che si possono trovare sui canali YouTube dei diversi gruppi ultras.
Nel primo siamo in Marocco, nella curva degli Ultra Eagles, che intonano una canzone intitolata F’bladi Dalmouni.
Nel secondo ci spostiamo in Algeria, nella curva degli Ouled El Bahdja, che attraversano le note di La casa del Mouradia invocano la cacciata dell’ex presidente Bouteflika.



Anche in Marocco il governo ebbe le stesse difficoltà nell’eradicare qualcosa di tanto effimero come una canzone. Il primo gruppo ultras del Raja Casablanca, i Green Boys, venne fondato nel 2005, anche se già l’anno successivo si separarono e una parte di loro formò gli Ultras Eagles. C’erano quindi tre diversi gruppi – i Green Boys, gli Ultras Eagles e i Derb Sultan – e spesso si scontravano tra loro. Nel 2016 due persone rimasero uccise allo stadio Mohammed v, in seguito a una rissa tra membri dei Green Boys e degli Ultras Eagles. Il governo mise fuorilegge gli ultras e incarcerò il capo del Raja, Zakaria «Skwadra» Belkadi. Venne liberato due anni più tardi e agli ultras venne consentito di riformarsi. Anche il Marocco aveva evitato la sua primavera araba, ma ciò non significava che non ci fosse una corrente di alienazione e insoddisfazione nei confronti del governo e della polizia, a causa degli stessi problemi che affliggevano i giovani in Egitto, Algeria e Tunisia: corruzione, disoccupazione e, soprattutto, la violenza delle forze dell’ordine.
Come in Algeria, anche lì una canzone della curva, questa volta dello stadio Mohammed v, era diventata un inno per una gioventù senza speranze: F’bladi Dalmouni (Mi hanno oppresso nel mio paese):


Mi hanno oppresso nel mio paese
Con chi posso lamentarmi?
Con Dio, l’Altissimo
Solo Lui sa
In questo paese viviamo sotto una nuvola oscura
Chiediamo la pace
Oh Dio, dacci la vittoria
Ci offrono droga dalla Ketama
E ci hanno abbandonato come orfani
Il giorno del giudizio otterremo quello che ci spetta
Avete distrutto così tanti talenti
Con lo sballo li avete schiacciati
Come altro volete vederla?


Anche altre squadre avevano scritto famosi inni antigovernativi, ma F’bladi Dalmouni, scritta dal Gruppo Aquile, era di gran lunga la più popolare, e la più orecchiabile. Andai a Casablanca in occasione del derby Raja-Wydad con la speranza di incontrare i leader dei Green Boys e degli Ultras Eagles. Era stato difficile prendere contatto con loro. Temevano di essere arrestati e pensavano di essere sotto controllo. Essere visti mentre parlavano con un giornalista straniero avrebbe sicuramente attirato ancora più attenzioni indesiderate su di loro. Dopo settimane di tira e molla, ci accordammo per incontrarci a Casablanca al mio arrivo. Mentre il mio taxi mi portava dalla stazione verso il centro, attraversando le strade scalcinate, lasciti della colonizzazione francese, l’autista accese la radio. Nonostante fosse mercoledì, e mezzogiorno, mi raggiunse l’inconfondibile suono di una radiocronaca di calcio araba.
Chiesi al tassista chi stesse giocando.
«Il Raja» mi rispose.
Andammo subito alla partita, ma non al grande stadio Mohammed v, che era in ristrutturazione. Era uno dei motivi per cui il derby si sarebbe giocato a tre ore di treno da lì, a Marrakesh. Arrivammo invece allo Stade Père Jégo, casa del Racing Athletic club, la stessa squadra in cui aveva militato per due stagioni, all’inizio degli anni Trenta, il famoso allenatore dell’Inter Helenio Herrera, che aveva fatto la sua parte per alimentare il movimento ultras italiano. Il muro color pietra dello stadio portava il nome della squadra scritto in vernice sbiadita verde sia in francese che in arabo. Qualche decina di tifosi erano seduti in cima al muro, rivolti verso il campo, a dieci metri di altezza dalla strada.
Il Père Jégo era completamente pieno per Raja-Ittihad Tanger. La giornata era nuvolosa e fresca, e tre lati dello stadio erano scoperti, ma il più capiente era stracolmo: una massa quasi ininterrotta di verde. Tra piccoli gruppi sembravano scoppiare tafferugli che si allargavano alle aree antistanti. Era il caos. Dopo poco, un uomo più largo e alto di me mi prese per le braccia e mi trascinò via: «Questo non è posto per te, vattene». Stava indicando la mia macchina fotografica. Mi spinse via e tornò a dedicarsi a una scazzottata.
Dall’altro lato dello stadio riuscivo a vedere la tribuna in tutta la sua gloria: una massa ondeggiante di magliette verdi, come il fumo che si innalzava dai fuochi d’artificio appena lanciati. C’erano parecchie bandiere palestinesi e uno striscione che invocava una Palestina libera. Un altro diceva fino alla morte. Poi sentii quello per cui ero venuto. Tutto lo stadio si mise a cantare F’bladi Dalmouni, una melodia bellissima e struggente:


Avete ucciso la passione
Iniziato la provocazione
La paura è la vostra invenzione
E l’avete applicata a noi
Volete usarla per governare
Per i razzi ci avete fatto giocare a porte chiuse
E avete bandito le coreografie
Siete in guerra con gli ultras



È l’alba e non riesco a dormire
Siedo qui, sempre più fatto
Qual è il motivo e chi posso incolpare?
Siamo stanchi di questa vita.

Ouled El Bahdja, La Casa del Mouradia


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