L’amore allo stato puro
Indossai la tuta mimetica, infilai gli scarponi e raccolsi il coraggio di uscire. Mi lasciai alle spalle l’albergo per dirigermi verso la passeggiata dei Mirti, ricoperta di neve. Di notte, al contrario di ciò che accade alla vista, che fonde tutto in un solo oggetto, i rumori acquisiscono dei connotati che li rendono riconoscibili, come se si separassero gli uni dagli altri. Distinsi, dritto dal molo, lo zigzagare del vento a pelo d’acqua, e quello dei rami di eucalipto del lazzaretto lì vicino, e anche una finestra o una porta che sbatteva in uno degli edifici, ma tra tutti quei suoni ce n’era uno che non riuscii a identificare, un rumore continuo che non era quello dei cavi dell’alta tensione del paesino, dall’altra parte della baia, che talvolta di notte crepitavano, e nemmeno quello del motore di una barca che entra in porto, né quello degli animali che in inverno scavano nel sottosuolo alla ricerca del calore terrestre. No, era un suono che non avevo mai sentito, né sull’isola né altrove. Continuai a camminare, passai davanti all’eremo, lasciandomi dietro il piccolo spiazzo di ghiaia, e il rumore rimaneva costante, né più né meno intenso. Non sono scemo e non sono pazzo, e so che uno scrittore del cosiddetto realismo magico avrebbe sostenuto l’esistenza di una specie di gigantesca calamita sotterranea, e che uno scrittore russo di fantascienza distopica avrebbe detto che nell’isola si trovava iscritta la fine di un’era e l’inizio di una civiltà creata da esseri venuti da un altro pianeta, e che uno scrittore spagnolo realista del ventunesimo secolo avrebbe suggerito che quel rumore era l’eco di una disputa civile mai completamente risolta, e che uno scrittore francese degli anni cinquanta avrebbe attribuito quel rumore all’esistenza stessa dell’io, al suono della psiche che, come uno stomaco, non smette mai di digerire se stessa, e so anche che uno scrittore statunitense della fine del ventesimo secolo avrebbe scritto che quel suono era il prodotto di una macchina, perché molto vicino all’isola, forse addirittura all’interno del lazzaretto, una multinazionale perversa lavorava giorno e notte per costruire un duplicato dell’isola stessa, eppure no, ribadisco, non sono né scemo né pazzo e mi risultava sempre più evidente che quel rumore che attraversava le mie orecchie non aveva nulla a che vedere con la letteratura, di nulla era specchio e di nulla era rappresentazione, era un accadimento senza fronzoli. E dunque mi fermai, presi fiato e sentii che quel suono non poteva essere altro che l’amore allo stato puro.
Agustín Fernández Mallo, Trilogia della guerra, traduzione di Silvia Lavina, Utopia 2022, pp. 61-62