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Il libro più bello che letto nel 2021 chiede di scegliere tra razionalismo e pensiero magico


«Pensavano tutti che stessimo usando i nostri soldi per fare un discorso sull’arte,
ma quello che stavamo facendo in realtà era usare l’arte per fare un discorso sui soldi.»


Dal giorno del suo arrivo in libreria (aprile 2018), ho toccato, sfogliato, leggiucchiato Complotto! decine di volte, senza mai convincermi ad acquistarlo (nonostante sia stato pubblicato dal mio editore preferito).
Poi lo scorso settembre, durante i giorni di Pordenonelegge, vado a trovare il mio amico Corrado allo stand di Nero all’interno dell’ex tipografia Savio, parliamo un po’ dell’Inter e di varie altre cose, e al momento di salutarlo, mentre acquisto Nuova era oscura, lui mi regala il libro di John Higgs.
Tuttavia nemmeno questa volta lo leggo subito. Per altri tre mesi, il pecorone che si staglia sullo sfondo giallo della meravigliosa copertina se ne sta lì a fissarmi dal comodino accanto al letto, tra quei due sottotitoli — CAOS, MAGIA E MUSICA HOUSE (in alto) e STORIA DEI KLF, IL GRUPPO CHE DIEDE FUOCO A UN MILIONE DI STERLINE (in basso) — che sembrano scritti apposta per divorarlo nel corso di una nottata furibonda, eppure…



Eppure qualcosa ancora mi trattiene, e ci sono giorni in cui mi rivolgo al pecorone e provo a giustificarmi: gli dico che in quelle settimane non ho la testa, che arrivo a fine giornata troppo stanco, con gli occhi che mi bruciano e senza la lucidità necessaria per seguire una storia che — come recita lo strillo dell’Independent in quarta di copertina: discordianesimo, situazionismo, arte, magia… — lederebbe ancor di più il mio già fragile equilibrio mentale.
Il pecorone mi ascolta guardandomi in tralice, disposto a darmi udienza, sì, ma senza rinunciare al suo biasimo.
Poi, a metà dicembre, al termine di uno dei periodi di lavoro più intensi di cui ho memoria, qualcosa si sblocca: mentre fuori scende la prima neve dell’anno, dopo aver sistemato le luci di natale lungo il balcone di casa mi stendo a letto, guardo il pecorone per la prima volta senza sentirmi in colpa, attacco il prologo — QUEGLI STRONZI HANNO BRUCIATO TUTTO — e percepisco in maniera tersa che sto per leggere il più bello tra i libri letti nell’anno in procinto di chiudersi.



Dopo i Brit Awards i giornalisti si affrettarono a razionalizzare le azioni dei KLF come «scherzi» e «trovate». Ma non erano nulla del genere. Erano l’espressione più sincera delle essenze di Drummond e Cauty. Come dichiarò Drummond al giornalista Danny Kelly il giorno seguente alla cerimonia, «in quello che facciamo c’è sempre del senso dell’umorismo, e anche nei dischi, ma se c’è una cosa che odio è quando la gente parte con la storia dei “buffoni” o dei “calcolatori”. Noi facciamo roba del genere perché ci viene dal profondo del cuore, ma la gente lo prende come una specie di gioco. È deprimente». Ancora una volta avevano agito d’istinto al livello più profondo di cui erano capaci, solo per essere nuovamente fraintesi e sentirsi dire che erano dei machiavellici manipolatori dei media.
Non potevano fare nulla per danneggiare l’industria, non potevano nemmeno combatterla. Quando avevano deciso di raccogliere l’eredità dei Justified Ancients of Mummu, il loro piano era di reclamare l’industria musicale come cosa loro. Invece era stata lei a fagocitarli.
Avevano fallito.
E adesso erano molto abbattuti. Come disse Drummond a Danny Kelly, «ripensandoci, ci rendiamo conto di non sapere quali fossero le nostre reali motivazioni. Sappiamo solo che, insieme a tutto il resto, abbiamo anche questo lato oscuro delle nostre personalità. Ci siamo guardati dentro e siamo entrati nella stessa zona oscura in cui dev’essere entrato [Charles] Manson… e quell’altro tizio della sparatoria a Hungerford». Qui Drummond si riferiva al massacro avvenuto nel 1987 per mano del cecchino solitario Michael Ryan, che portò a un irrigidimento delle leggi britanniche sulle armi. Kelly dovette sollecitarlo su questo tema, perché se si trattava di un’iperbole era davvero di pessimo gusto. Chiese a Drummond se parlasse sul serio. «Sì, certo. Sono serissimo», rispose Drummond. «È la stessa zona oscura. Qualcuno di recente ha usato l’espressione “ribelli interni al sistema” — a proposito dei Manic Street Preachers, mi pare — e sia Jimmy che io non volevamo essere dei semplici ribelli interni al sistema perché ce ne sono già a pacchi, di quelli, spudorati. Ci sembrava di dare testate contro il muro, e poi ancora altre testate, al solo tentativo di spingere più in là il limite di ciò che è accettabile. Non aveva nessun senso, non sai perché lo fai ma devi continuare a farlo. Ed è quello che ha fatto Michael Ryan; si è svegliato un giorno e ha pensato “Ah, già, oggi è il giorno che esco e faccio fuori quei bastardi” e poi è uscito e ha sparato ai bastardi…» Diversi giornalisti, dopo aver intervistato il Drummond di quel periodo, ipotizzarono che stesse avendo un esaurimento nervoso.
E poi? Quale sarebbe stato il prossimo passo? Avevano fatto un viaggio giù nel ventre della bestia. Ma avevano fallito, e forse non si sarebbero sentiti mai più a posto con se stessi. Dovevano sparire, ma era davvero possibile per una band tanto famosa fuggire dall’industria? Nel 1992 i KLF erano giganteschi. L’anno precedente avevano venduto più singoli di qualsiasi altro artista al mondo. Avevano avuto una sfilza di dischi al primo posto a livello globale. Avevano avuto hit in America. I critici li adoravano. Come potevano sfuggire all’industria? Come potevano farsi dimenticare?
Come potevano riavere indietro le loro anime?

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