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DA QUANDO C’È LA GUERRA


Da quando c’è la guerra, pensieri e frasi sono divenuti brevi, si sono adattati al tono degli ordini. Si è pronti a volere qualsiasi cosa, pur di non prolungare, di non far continuare quanto è nato in questo periodo. Lo si vorrebbe lasciare alle spalle, come colpi di mitragliatrice. Nessuno sa chi tornerà a casa, e nessuno sa dove sarà la sua casa. Quindi non ci si stabilisce troppo a lungo in alcuna frase e se ne sfiorano molte, come le foglie quando si cammina. Il giornale, «dove ogni giorno c’è qualcosa di nuovo», e il bollettino della radio sono le scimmie del momento; non si fa a tempo a vederle su un albero che già sono saltate su quello dopo. In guerra, un Matusalemme vive un giorno, le esistenze normali si misurano a ore. Pare sia capitato che uno non sapesse più perché aveva combattuto un attimo prima; e alcuni dicono che centomila morti coprono l’obiettivo più chiaro. I cadaveri non scorrono sempre via in docili fiumi; i forni mobili per cremarli sono spesso in ritardo. Erano più raccomandabili le ben cementate torri di crani dei Tartari; offrivano una ricca vista. Ma gli esperimenti per l’utilizzazione di cuori ed intestini dei morti hanno fatto progressi; non è escluso che si richiamino in vita i cadaveri della propria gente adoperando quelli dei nemici, e in tal caso le guerre avrebbero quel significato più profondo che fino ad ora è stato presagito soltanto dai loro profeti. Non si era andati molto lontano nell’interpretazione di fenomeni così colossali; ma i numeri stessi fanno capire che si tratta eminentemente di fenomeni d’importanza vitale: altrimenti, milioni di uomini morirebbero forse per niente? E morirebbero volentieri, e ne sarebbero orgogliosi, e anzi si disputerebbero la precedenza? Sono sempre i numeri che fanno arrossire i dubbiosi. L’uomo non muore volentieri. In guerra gli uomini muoiono a milioni. Dunque le guerre devono significare qualcosa di particolare, e forse quel che ancora non si è capito è come bisogna rosicchiare i cadaveri dei nemici. Si sono derisi i cacciatori di teste e sbeffeggiati i cannibali. Ma in questi figli della natura c’è un nocciolo sano, e così come sono esperti di erbe medicinali e di veleni, certamente sapranno bene, e comunque meglio di noi, perché devono mangiare proprio i loro nemici. Una cosa non gli si può negare: sono coerenti, e non sono stati indotti come noi dal ridicolo sentimentalismo della nostra pseudocultura a disdegnare un cuore solo perché è il cuore di un uomo; anzi, lo preferiscono ai cuori degli animali. Nella storia si parla veramente troppo poco degli animali. (1943)


Elias Canetti, Appunti 1942-1993

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