Centro vs periferia

           

 

Ieri sono rimasto sveglio fino a tardi per seguire i risultati delle elezioni in Gran Bretagna stravinte dai conservatori (con numeri che rimandano ai tempi della Thatcher) e straperse dai laburisti (con numeri che rimandano ai tempi della Guerra civile spagnola).
Ma come spesso accade quando guardo i talk politici, dopo pochi minuti la mia concentrazione è collassata e così, immagino per il tema della serata, mi sono tornati in mente i libri di Anthony Cartwright, a cui ho avuto la fortuna di lavorare fin dal suo esordio in Italia, e la sua intervista uscita lo scorso sabato sulla Lettura del Corriere delle Sera, intitolata: «Non conta chi vince, ormai è tutto cambiato».
Rispondendo alle domande di Luigi Ippolito, Cartwright cita un paio di volte Cairo, il protagonista del suo ultimo libro pubblicato da 66thand2nd, Il taglio, che ruota intorno al tema della Brexit, descrivendolo come un rappresentante di quella sinistra conservatrice — statalista in economia, prevalentemente bianca e chiusa sul piano socio-culturale — che ieri ha voltato le spalle a Corbyn, consegnando ai tories le antiche roccaforti siderurgiche delle Midlands, dello Yorkshire e del Galles, ora ridotte a «un labirinto di vecchie officine» come racconta in un altro suo romanzo, Iron Towns. Gente che vive nella provincia dell’Impero, lontana anni luce da quell’altra working class — urbana, fluida e mista dal punto di vista razziale — che invece popola i grandi centri urbani e che, da quel poco che si capisce analizzando il voto, le spalle ai laburisti le ha pure voltate, ma in maniera meno radicale.
Ancora il tema del centro vs la periferia, ho così pensato mentre guardavo il talk senza però seguire il dibattito. È da un po’ di tempo che si finisce sempre là.

E così mi è tornata in mente quella serata romana di qualche estate fa, era il 2016, trascorsa nella terrazza di un bellissimo appartamento affacciato su Campo dei fiori, di proprietà di un’amica di un’amica, cosmopolita, progressista e soprattutto incazzata nera per i risultati elettorali delle recenti elezioni amministrative che avevano sancito il sacco di Roma. In particolare ho ripensato all’espressione di stupore che si era dipinta sul volto della padrona di casa quando alla sua domanda «dove abiti?» avevo risposto «a Torpignattara». La ragazza mi aveva confessato di non esserci mai stata a Torpignattara. Anzi, di non essere mai stata in nessun quartiere periferico della città, e che tutta la sua vita si era svolta sempre e solo dentro i confini del I municipio, ossia di quell’area che si può approssimativamente identificare con “il centro” cittadino. L’unico municipio vinto dalla sinistra in quella storica tornata elettorale.
Così, seduto sul divano davanti alla tv, ieri sera mi sono chiesto se il risultato delle elezioni inglesi, i libri di Cartwright e il ricordo di quell’amica della mia amica c’entrassero qualcosa l’uno con l’altro, e ho concluso che no, non c’entrano nulla. O che forse non c’entrano, però c’entrano.

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