5 cose un po’ assurde che ho imparato sulla svastica (e dintorni)

Quella che segue è la mia Top Five delle 5 cose più assurde che ho imparato dopo aver lavorato al libro di Steven Heller Storia universale della svastica (in uscita per Utet nella traduzione di Lorenzo Vetta).

1. The Swastika, la rivista del Club delle Ragazze

«In accordo con la fascinazione per la svastica nell’Europa di fine Ottocento e primi Novecento» scrive Heller «anche negli Stati Uniti alcuni club usarono quel simbolo in rappresentanza di differenti gruppi professionali o sociali. Nessuno fu più popolare del Girl’s Club, il Club delle Ragazze, la cui rivista mensile distribuita su scala nazionale (e pubblicata dalla Curtis Publishing Company di Filadelfia tra il 1914 e il 1918) si chiamava The Swastika. Su ogni numero la copertina integrava un’illustrazione da fumetto con il leitmotiv della svastica. L’ambìto cimelio del club era una spilla a forma di svastica tempestata di diamanti, reclamizzata così: “Il desiderio di ogni ragazza: una svastica tutta per sé”.»



2. Surf Nazis Must Die e il fenomeno del nazi-surf

«Certo, è dagli anni cinquanta che l’arte popolare sta erodendo la memoria storica relativa alla svastica, quando le riviste maschili riducevano le camicie nere naziste a perfidi schiavisti del Sud. “Nella cultura popolare occidentale, spesso il nazismo non era altro che una fonte di intrattenimento leggero, una distrazione, una fascinazione perversa, e in certi casi addirittura pornografia sadomasochistica”, scriveva Robert S. Wistrich in A Weekend in Munich: Art, Propaganda and Terror in the Third Reich. Negli anni sessanta, la cultura californiana del surf adottò il simbolismo nazista per esprimere la sua ribellione contro l’establishment. Negli anni trenta – ironia della sorte – la svastica era utilizzata nelle pubblicità dell’azienda di tavole Swastika Surfboard Company (Cavalca la svastica), e trent’anni dopo il termine “surf nazi” era abitualmente usato per descrivere questa sottocultura apolitica, i cui adepti indossavano indumenti ispirati all’esercito tedesco e medaglie a forma di croci uncinate. È chiaro che ogni lezione politica e morale che si può trarre dal terrore nazista e dal genocidio è destinata a essere fiaccata da un approccio al passato così dannoso e irresponsabile. Ridimensionare il nazismo a poco più che un oggetto di divertimento è, concludeva Wistrich, un classico esempio di politica dell’oblio.»



3. Hatenanny Records, l’etichetta discografica fondata da George Lincoln Rockwell, leader dell’American Nazi Party

«Tuttavia i neonazisti, redivivi, tornarono un decennio dopo la fine della guerra, nel 1959, quando George Lincoln Rockwell fece scendere il suo American Nazi Party (Anp) nell’arena del potere bianco. Questo affascinante fumatore di pipa, ex illustratore e proprietario di un’agenzia pubblicitaria, possedeva un’incontestabile scaltrezza nel maneggiare i media. Fondò un’etichetta discografica chiamata Hatenanny Records (una parodia degli hootenannies, i raduni dei musicisti folk), attinse esplicitamente dall’iconografia nazista e affisse sui suoi “autobus dell’odio” delle svastiche con al centro una proiezione azimutale equidistante, simile per colore e design al logo dell’Onu.»



4. Origine del cappuccio della glory suit

«Anche colori e capi d’abbigliamento possono essere utilizzati come armi e strumenti di terrore. Basta guardare alla storia: le tonalità delle uniformi paramilitari, in particolar modo delle camicie, hanno svolto un ruolo primario nella brandizzazione dell’odio per oltre un secolo. La gamma di sfumature razziste parte all’incirca dall’indelebile glory suit, una tunica bianca con cappuccio a punta e due spettrali fori per gli occhi che costituisce l’abbigliamento d’ordinanza nel Ku Klux Klan. Non si sa da chi o quando fu concepita questa divisa, ma pare che il cappello conico, la maschera e la tunica siano stati ispirati ai rituali della confraternita cristiana dei Nazareni in Spagna (questo tipo di copricapo, chiamato “capirote”, simile al dunce cap, il “cappello da somaro” inventato dal teologo scozzese del XIV secolo Giovanni Duns Scoto, che lo utilizzava per ridicolizzare chi credeva in dottrine antiquate, è anche il simbolo dei penitenti cattolici). In accordo con i dettami del Klan, il suo bianco simboleggia la purezza.»



5. La foresta della svastica

«Conformemente al suo ruolo di monumentale icona tedesca, la svastica più grande fu creata in un boschetto nei pressi di Berlino, dove alcune conifere furono piantate in modo da formare una hakenkreuz di cento metri. Secondo Robert N. Proctor in La guerra di Hitler al cancro, “a oltre sessant’anni di distanza, il simbolo emerge ogni autunno, quando le foglie degli alberi cedui tutt’intorno cambiano colore. È visibile solo dall’alto”. Anche se nel 2000 la Cnn riferì che la svastica arborea in questione era stata distrutta, in realtà, a causa di una serie di dispute sulla proprietà, solo venticinque di quelle piante oltraggiose vennero abbattute. Abbastanza, comunque, da far sì che il simbolo risultasse così compromesso da non essere riconosciuto nemmeno dagli aerei che sorvolavano la zona.»


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