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L’arte della sintesi

 


Sono molto orgoglioso di questa foto che ho scattato lo scorso 16 maggio all’Auditorium «Gianni Agnelli» del Lingotto di Torino, perché ritrae Emmanuel Carrère nell’esatto istante in cui sta meditando di sintetizzare Il lamento di Portnoyche in questi giorni viene ripubblicato da Adelphi con un nuovo titolo e una nuova traduzione — con queste parole:


«Un allucinante romanzo nel quale Philip Roth tira fuori il cazzo e lo tiene fuori per tutto il resto del romanzo.»


A questo punto avrebbe dovuto calare il proverbiale sipario, ma non è successo perché l’incontro era appena iniziato. E per fortuna, data la qualità degli interventi da parte dei quattro ospiti — oltre a Carrère, Livia Manera, Roberto Colajanni e Matteo Codignola — che si sarebbero alternati nella successiva ora e mezza.
Tra l’uno e l’altro, cinque clip tratte dal documentario Philip Roth. Unmasked diretto dalla stessa Manera nel 2013, di cui parla anche Blake Bailey nella sua monumentale biografia dello scrittore (già citata qui, qui e qui):


Nel settembre 2009 — mentre, dopo Nemesi, cercava senza successo un’idea per un altro romanzo — una giornalista italiana con cui aveva fatto amicizia, Livia Manera, andò a cena con lui per chiedergli un consiglio su un suo progetto televisivo sugli scrittori americani che avevano sostenuto Obama. «Quando hai intenzione di chiederlo a me?», le disse Roth, la cui non disponibilità lei aveva dato per scontata. A quel punto, col suo entusiastico sostegno, lei lasciò perdere il progetto su Obama e decise di realizzare un documentario esclusivamente su di lui (per quanto senza domande su Claire Bloom e simili). Nell’autunno del 2010 ne venne realizzata una versione di cinquantadue minuti diretta da un francese, William Karel, e trasmessa l’anno successivo sul canale francese-tedesco Arte col titolo Philip Roth, sans complexe e Philip Roth, ohne Beschwerden («senza lamenti»). Poi Manera lo propose a Susan Lacy del programma «American Masters» della Pbs — che secondo Roth avrebbe dovuto da tempo ritrasmettere il documentario del 1993 della Bbc — e lei accettò, consigliandole di portarlo a novanta minuti aggiungendo interviste con altri scrittori: Pierpont, Krauss, Englander e Franzen. Roth fece notare alcuni errori nella prima versione e propose alcune modifiche, per poi dichiarare la versione definitiva della Pbs «molto, molto meglio», e accettò addirittura di comparire via satellite al Television Critics Association Press Tour a Pasadena, dove «rubò la scena» («Los Angeles Times») promuovendo quel documentario in cui si rivelava «di ottima compagnia,» scrisse il critico A. O. Scott, «espansivo, spiritoso, generoso e schietto».
Philip Roth. Unmasked fu proiettato gratuitamente per una settimana al Film Forum, a SoHo, dove la prima sera (il 12 marzo 2013, con sette giorni di anticipo) una folla straripante cantò «Tanti auguri a te» a Roth, presente con un gruppo di amici che comprendeva, oltre a Manera, anche Conarroe con una giacca della Weequahic High School comprata in un negozio dell’usato («Solo perché sono un goy, Philip dice che è falsa»). Roth si divertì moltissimo a inveire contro sé stesso sullo schermo, e l’indomani telefonò a Manera: «Avremmo dovuto conoscerci venticinque anni fa,» le disse, dopo che si era solennemente complimentato per il suo lavoro. «Ci avrebbe cambiato la vita».



 

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